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Crisi attuale
nella Chiesa |
LE RAGIONI
DI UN NOME
L’espressione
“Messa in latino” che dà nome a questo sito è
del tutto imprecisa ed atecnica. Si può riferire sia al rito della Chiesa
dal III-IV secolo (quando la divina liturgia originariamente in greco fu
tradotta in latino) fino al 1969, sia all’attuale Messa
“ordinaria” in vigore dal 1970, detta Novus Ordo, che in
linea di principio può essere celebrata nel latino in cui il nuovo
messale è stato originariamente emanato (diciamo bene in linea di principio poiché,
onestamente, di celebrazioni in latino col nuovo rito non se ne vedono proprio:
riteniamo che, eccettuando Roma, non raggiungano la decina in tutta Italia).
Tuttavia la
dizione di messa in latino è la più diffusa nel linguaggio comune1 per denotare
Ma tralasciamo
queste sottigliezze terminologiche: se usiamo l’espressione corrente di
“messa in latino” è essenzialmente per due ragioni. La
prima, perché questo sito vuole rivolgersi anche alla persona semplicemente
curiosa, ignara o quasi di dispute liturgiche e di finezze semantiche, che
desideri comprendere perché i giornali non raramente parlino degli
intenti “reazionari”
del Papa circa la messa in latino “preconciliare” e
“con le spalle al popolo”. Qui troverà, ci auguriamo, alcune
utili spiegazioni e un sunto del pensiero di Papa Ratzinger sulla liturgia.
La seconda
ragione del nome di questo sito è che l’improprietà
dell’espressione (che appunto a rigor di termini può riguardare
tanto
Non neghiamo la
nostra netta preferenza per il rito antico e per ragioni non solo
estetiche, ma perché esprime meglio – è la nostra convinta
opinione – la pienezza della Fede cattolica. E rivendichiamo con decisione
il diritto, anzi il dovere di ogni fedele di usare ragione e argomentato
discernimento per vedere il buono e il bello (o il loro contrario) in ogni
elemento liturgico, antico o nuovo che sia: se i nostri padri avessero fatto
maggior uso di questo diritto-dovere, non avremmo avuto forse certe derive
dagli anni Settanta in poi. Non intendiamo però denigrare o svilire il
rito nuovo, già solo per il fatto che il Papa ci ingiunge di evitare
ogni contrapposizione, che è ancor meno opportuna e tollerabile quando
concerne
Il Papa infatti
incoraggia e promuove la diffusione della Messa millenaria non solo per
un atto di giustizia verso gli avi, che ci hanno trasmesso questo tesoro
sconsideratamente gettato alle ortiche, e verso i fedeli che ne traggono
nutrimento spirituale, ma ancor più per riportare nel tessuto ecclesiale
il paradigma, cioè l’esempio cui ispirarsi per celebrazioni
riverenti, composte, caratterizzate da nobile semplicità, in cui il
celebrante non colloquia incessantemente con l’assemblea, bensì
guida e conduce il Popolo al cospetto del suo Dio, come il Gran Sacerdote
davanti all’Arca dell’Alleanza. Ed è per rispondere a questo
appello di Benedetto XVI che tutti dobbiamo impegnarci.
Ci sforzeremo
quindi di seguire, e questo sarà il nostro programma, l’evoluzione
liturgica (e non solo) della Chiesa che, sotto la lucida e paziente guida del
Pontefice teologo, cerca di riappropriarsi della sua Tradizione, rigettando
alfine quella schizofrenia ideologica che aveva visto nell’artefatto
“Spirito del Concilio” (che si sostituì abusivamente
all’esegesi di documenti conciliari ben più misurati) un momento
di rottura, una palingenesi dal sapore luterano, un nuovo inizio che condannava
senz’appello i secoli precedenti della Chiesa, in nome di un utopico e
anacronistico ritorno ai tempi evangelici, ricostruiti peraltro
artificiosamente secondo il gusto del momento (siamo intorno al Sessantotto), a
discapito dell’azione dello Spirito Santo lungo il millenario svolgersi
della storia della Chiesa.
Quante volte
abbiamo dovuto sentire la solfa “prima del Concilio era... ora per
fortuna invece...”. Di che rendere odioso quel Concilio brandito come un
“superdogma “ (espressione ratzingeriana), utilizzato - nelle mani
di un clero poco avvertito - quale arma ideologica contundente per divellere
altari e balaustre, proibire processioni e pie devozioni, tacitare gli organi,
banalizzare e render verbosa la celebrazione, erigere chiese in forma di
autosilos, imporre canzonette indegne di qualsiasi orecchio, sloggiare il sacro
tabernacolo e al suo posto installarvi il seggiolone del presbitero affetto da
protagonismo e gigioneria. Ma per quanto sia moralmente comprensibile a fronte
di questi eccessi, in realtà l’opposizione al Concilio sbaglia
obbiettivo, perché la causa del male non è il Concilio in
sé, bensì chi quel Concilio ha strumentalmente piegato a fini
iconoclasti e rivoluzionari, che erano tutto il contrario di quel che i Padri
conciliari volevano: per dirne una tra mille, i documenti conciliari
riaffermarono la necessità che la lingua latina nelle celebrazioni fosse
dappertutto conservata e incoraggiata, e si sa come è finita... 2
Papa Benedetto
XVI, nel suo storico discorso del 22 dicembre 2005 alla Curia romana, ha
finalmente fatto il punto, a quarant’anni dalla sua conclusione, su
questo Concilio tanto invocato quanto di fatto tradito o, nel migliore dei
casi, misconosciuto. Egli ha spiegato che di esso si sono date due
interpretazioni confliggenti: la prima, denominata “ermeneutica della
discontinuità e della rottura”, ha predominato in maniera assoluta
finora, anche perché sostenuta dalla simpatia dei media solitamente
laicisti, ed è quella che ha portato in via immediata e diretta alla
gravissima crisi della Chiesa e all’apostasia di centinaia di milioni di
ex cattolici (emorragia che è direttamente proporzionale
all’accanimento modernista dei vari episcopati nazionali: per questo in
Italia, dove grazie al cielo le posizioni sono state più misurate, la
situazione è migliore che in Francia o Germania o, peggio del peggio, in
Olanda, patria del famigerato Catechismo olandese chiaramente eterodosso,
benché emanato dalla locale conferenza episcopale). L’altra
posizione è “l’ermeneutica della riforma e della
continuità”, che si rifiuta di vedere due Chiese diacroniche,
quella di prima e quella di dopo il Concilio, l’una contro l’altra
armate, e anziché perdersi dietro un ipotetico quanto forzato Spirito
del Concilio, legge per davvero i documenti di questo, il loro significato
fatto palese dal senso delle parole effettivamente utilizzate, e vi trova la
riaffermazione della Fede e della Tradizione, sia pure a tratti esposte in un
modo che, senza in alcun modo mutare la sostanza della dottrina, cercava nella
formulazione di essere più vicino alla sensibilità
dell’uomo allora contemporaneo (oggi dobbiamo dire, passati
quarant’anni, che a ben vedere l’uomo degli anni Sessanta non
corrisponde più molto a quello del XXI secolo).
Questa
“ermeneutica della continuità”, conclude il Papa, ha dato
frutti, certo nascosti (il bene, d’altronde, è lento e paziente e
le foreste impiegano più tempo a crescere che a bruciare in rovina) ed
ancor più è destinato a produrne in futuro quando sarà
finalmente rigettata dal Corpo della Chiesa quella schizofrenia del
post-concilio che ha portato a rigettare le proprie radici e a minare la credibilità
della Chiesa (un’istituzione che contraddice quanto aveva fino allora
proclamato, non arriverà domani a considerare sbagliato e infondato
quanto oggi asserisce?).
Il ritorno della
Tradizione, calpestata, disprezzata e perseguitata contro ogni intenzione dei
Padri conciliari, non è dunque se non uno degli aspetti di reale ed
effettiva applicazione del Concilio Vaticano II, di quello vero e non di quello vagheggiato, stravolto e inventato da teologi
e liturgisti malati di egocentrismo. Il nostro compito è,
nell’infima parte che ci compete e per quanto umilmente possibile,
contribuire con l’azione e con la preghiera a quest’opera
grandiosa, dalla quale dipenderà, crediamo, il ritorno alla Fede di
molte persone che oggi, disilluse da discorsi ambigui e antropocentrici e da
liturgie sciatte e dimentiche di ogni afflato verso il Sublime, cercano
purtroppo altrove – o hanno smesso del tutto di cercare - le
“parole di vita eterna”. E ci scusiamo fin d’ora se la
passione che ci pervade (memori dell’espressione biblica: “lo zelo per
“car
les vrais amis du peuple ne sont ni révolutionnaires ni novateurs, mais
traditionalistes”
(S. Pio X, enciclica Notre
charge apostolique)
_____________________
[1] Anche un fiero avversario del motu proprio come il
liturgista don Manlio Sodi, ha ritenuto opportuno usare l’espressione di
Messa in latino per indicare
2 Per chi volesse un esempio tra i tanti dell’abusiva
sostituzione di uno “spirito conciliare” al Concilio vero e
proprio, si veda questa pagina del sito francese cattoprogressista Golias:
nei commenti in fondo interviene criticamente Denis Crouan (che da anni si batte
contro gli abusi liturgici per un rito ordinario rispettoso del Messale di
Paolo VI, in latino e gregoriano) lamentando di essere stato definito
nell’articolo come “anticonciliare”, ricordando che la sua
posizione è del tutto sostenuta dai testi del Concilio. L’autore
dell’articolo Terras risponde allora con questo commento, non privo di
poesia ma rivelatore: “Per il Sig. CROUAN ‘conciliare’
significa fedeltà letterale ai testi e alle norme liturgiche [sottinteso:
emanati dal Concilio]; per noi al contrario, ‘conciliare’ va
inteso nel senso di uno slancio, un impulso, un inizio, un’audacia di
creatività e d’apertura al mondo nonché di rinnovamento
ecclesiale e autenticamente evangelico, senza la polvere di una certa storia
della tradizione cristiana” (trad. e sottol. nostra).