In questa pagina vogliamo dare una lista
delle principali obiezioni sollevate contro il motu proprio e
il motu proprio “... una mossa offensiva e disonesta, che può
essere dettata solo da ignoranza o follia...”
Enzo
Bianchi, Se il Messale è una bandiera
“...perché alcuni giovani che non
sono nati nell'epoca post-tridentina e non hanno mai praticato come loro messa
"nativa" quella pre-conciliare, vogliono un messale sconosciuto ? ...”
P. Riccardo Barile, Summorum pontificum. Considerazioni
“...Giovanni Paolo
II? I1 70% o 1'80% del Motu proprio risale a lui...”
In effetti, è una dolorosa e
sconcertante verità il fatto che il motu proprio abbia sollevato moltissime obiezioni
nel clero, che in buona parte nutre una profonda avversione per i riti
tradizionali. Se non ci credete, sappiate che il Vicepresidente della
Pontificia Commissione Ecclesia Dei lo ha dichiarato pubblicamente il 16
settembre 2008 (“In Italia, salvo poche
lodevoli eccezioni, i vescovi e i superiori degli Ordini religiosi si sono
opposti all’applicazione del motu proprio”). Qui cercheremo di capire il
perché di questo rifiuto della propria tradizione, anche se esso ha ben poco di
razionale, e molto di emotivo: chi è cresciuto col mito che solo grazie al
Concilio
I laici sono più pragmatici:
il motu proprio non dà alcun fastidio, una volta chiarito che
Ma nel clero, dicevamo, le
posizioni sono più radicali. Bisogna distinguere tra i chierici grosso modo 4
generazioni (con tutta l’approssimazione di questo genere di discorsi
sociologici, che hanno solo valore tendenziale):
1)
Gli antichi: quelli sopra i 78-80 anni. All’epoca
del Concilio erano già adulti, quindi non hanno vissuto quella temperie con
l’entusiasmo e l’ingenuità della generazione che segue, ma con la (relativa)
pacatezza dei quarantenni. In genere hanno accettato la riforma liturgica, ma
senza l’accecamento ideologico di considerare tutta la loro vita di Chiesa,
vissuta fino a quel momento, come qualcosa da esecrare. Questa è, si noti, la
generazione cui appartiene il Papa. La loro posizione rispetto al motu proprio
sarà quindi o di moderata disapprovazione, o di distaccata benevolenza (o di
totale disinteresse quando l’età ha purtroppo portato anche l’indolenza mentale
o fisica). In breve: nessun fanatismo.
2)
Quelli che il Concilio.... E’ la generazione che va dai 55 anni ai
78-80 anni. I giovani pasdaran di quegli “anni formidabili” (è l’espressione
usata dal leader di Democrazia Proletaria, Mario Capanna, in riferimento al
Sessantotto e agli anni di piombo) formano la generazione del clero più
numerosa (anche perché dopo di loro, e per causa loro, le vocazioni si sono
assottigliate) e sono oggi nei posti chiave: mentre la società ha espulso o
convertito i vecchi sessantottini, nella Chiesa, data la sua gerontocrazia, ce
li ritroviamo ancora come vescovi (la cui fascia d’età è precisamente quella),
o vicari generali, o parroci delle chiese principali. La loro frase tipica è: “Prima del Concilio... [smorfia di
disgusto], oggi invece... [sorriso compiaciuto]”.
Pur soggettivamente animati dalle migliori intenzioni, sono coloro che hanno
portato
3)
I figli del post-concilio: sono i sacerdoti che hanno da 40-
4)
I giovani. Sotto i 40 anni, sono i figli dell’era
Giovanni Paolo II e quindi mediamente più classici, più ortodossi, più attenti
alla liturgia di quanto non volessero i loro mentori. E probabilmente sono così
proprio per reazione agli sbandamenti degli ultimi quarant’anni. Sono in
profonda sintonia con la riforma liturgica del Papa; purtroppo però il loro
numero (per via del crollo delle vocazioni) è relativamente esiguo; spesso
inoltre non hanno ancora lo status di parroci ma di semplici vicari
parrocchiali. In termini di “potere”, contano davvero poco e, se non sono
parroci, non sono nemmeno legittimati ad accogliere la richiesta di un gruppo
stabile per celebrare
Vediamo allora quali sono le principali
obiezioni contro
Visitate la nostra pagina su quel che il
Concilio ha detto sulla liturgia, e poi diteci se corrisponde di più alle idee
dei Padri conciliari
In altri termini, e non è una battuta:
sappiate che siete molto più “conciliari” voi che chiedete una Messa
tridentina, che questi progressisti che la vedono come il fumo negli occhi e
spacciano per un prodotto del Concilio quello che ben pochi dei Padri
conciliari avrebbero non solo voluto, ma anche solo immaginato.
E poi: che cosa c’è di più conforme al
Concilio, che ha promosso il ruolo dei laici, il pluralismo, la tolleranza, che
un gruppo di persone che si danno da fare per aggiungere, tra le molte
celebrazioni esistenti (in tutte le lingue e, spesso, con modalità diverse
l’una dall’altra, pur se formalmente in base allo stesso Messale), la voce
ulteriore di una Messa in latino per chi la vuole?
Se quasi tutte le religioni del mondo
usano una lingua morta, forse un motivo c’è (i musulmani l’arabo classico; gli
ebrei l’ebraico, che era lingua morta fino a 60 anni fa, quando è stato
riesumato come lingua ufficiale dello Stato di Israele; gli indù il sanscrito;
i greco-ortodossi il greco antico; i copti etiopi il gehez; e potremmo continuare).
L’uso di una lingua sacra risponde ad un’esigenza precisa dell’animo umano: nei
rapporti col divino, abbiamo bisogno di entrare in un’atmosfera diversa dalle
nostre occupazioni quotidiane. E’ per questo che esistono le chiese, i templi,
i recinti sacri, con tutte le loro opere d’arte, che sono diverse dalle case e
dagli uffici dove si svolge la nostra vita mondana. E’ anche per questo che i
nostri cuori sono più “rivolti al Signore” se ci rivolgiamo a lui con parole
che non sono di tutti i giorni, e quindi esposte al rischio fortissimo di
banalizzazione. E’ lo stesso principio per cui la poesia usa spesso vocaboli
rari o ricercati: per elevare il nostro spirito.
Col rito in latino, poi, ci sentiamo
uniti con le generazioni innumerevoli dei nostri antenati che in chiesa hanno
sentito e ripetuto quelle medesime parole.
Il latino non si capisce?
Forse è anche meglio: a volte la comprensione solo verbale è ingannevole e
superficiale (crediamo di aver capito, e non indaghiamo oltre, ma in realtà non
abbiamo compreso niente), mentre il suono, i gesti, l’atmosfera, agiscono molto
più profondamente in noi; non solo: la consapevolezza di avere inteso poco ci
sprona ad accrescere la nostra conoscenza del mistero. A giudicare dalla
diffusa miscredenza (tra i praticanti!) nella Presenza reale di Cristo
nell’Eucarestia, viene naturale pensare che per l’istruzione religiosa valesse
molto di più inginocchiarsi per ricevere la comunione (come un tempo), che
sentire tutti gli spiegoni e le monizioni delle Messe attuali.
E d’altronde: accendete la
radio e troverete che i due terzi delle canzoni sono in inglese. Ma quanti in
Italia capiscono l’inglese (specie parlato, anzi cantato?). Evidentemente, per
apprezzare una bella canzone dei Rem, dei Beatles o dei Police, non è necessario
capire bene il testo (anzi: pensate che orrore se cantassero in italiano).
Messe di Paolo VI in latino
se ne celebrano pochissime (noi cerchiamo di farne una lista, nella pagina con
l’elenco delle Messe, ma fuori Roma è come cercare un lago nel Sahara).
Tuttavia, appena inizierete a darvi da fare per ottenere una Messa gregoriana,
qualche solerte ecclesiastico vi offrirà - obtorto
collo e ritenendola un male minore rispetto all’odiata Messa antica (ma pur
sempre un male, rispetto alla wonderful
Messa-moderna-in-italiano-con-chitarre) - una Messa in latino col nuovo
messale. Declinerete con cortesia e garbo ma con molta fermezza, spiegando che
non è solo questione di lingua ma anche, ad esempio (tra le molte differenze,
che trovate dettagliate nella nostra pagina sul raffronto tra le due Messe), di
celebrazione rivolta al Signore (traducetegli: “spalle al popolo”, o fingerà di
non capire), in cui finalmente il Prete sta discretamente al suo posto e non è
più il protagonista che deve
interagire coi fedeli.
E poi, scusate, il Papa si
aspetta che il suo motu proprio venga applicato, grazie all’intraprendenza dei gruppi
stabili. Far tante storie per spuntare solo un po’ di latino, non è quello che
aveva in mente. Insistete, quindi, anche pensando a lui.
Potremmo dire che, essendo
Egli stesso Dio, non aveva bisogno di rivolgersi a Dio...
Ma a parte ciò, nel
banchetto antico tutti i convitati erano seduti dallo stesso lato, non gli uni
di fronte agli altri: tutti, quindi, erano rivolti verso la medesima direzione
e non si fronteggiavano. L’Ultima Cena di Leonardo rappresenta bene tale
usanza, e non per mero espediente pittorico: Gesù e gli Apostoli sono seduti da
un lato solo del tavolo: un po’ come il sacerdote all’altare con i fedeli
dietro a lui.
Sull’opportunità, poi, di questo
modo di celebrazione verso Dio (eliminando quel cerchio tra assemblea e
celebrante che rende
E non dimentichiamo il fatto che già
attualmente c’è enorme differenza tra le varie celebrazioni liturgiche, pur
facenti capo allo stesso Messale, senza che nessuno si scandalizzi troppo di
queste concretissime rotture “dell’unità liturgica”.
Non c’è nessun legame
sociologico o politico tra l’amore per
Come abbiamo accennato
sopra, i fedeli laici, rispetto alla Messa antica, assumono una di queste due
posizioni: o sono interessati, non foss’altro che per curiosità e per cambiare un
po’, oppure se ne infischiano del tutto: magari trovano insensato che qualcuno
possa avere interesse per un rito così arcaico, ma una volta chiarito che il
motu proprio non li riguarda perché non abolisce le Messe in italiano, ma
consente una Messa in latino a chi la vuole... contenti voi, fatevela!
Quindi, contrasti e
divisioni tra i fedeli laici sono sostanzialmente impossibili. Problemi possono
sorgere solo per colpa di un Parroco malevolo che, frustrando le legittime
aspettative dei fedeli tradizionalisti, crei risentimento e li costringa a
posizioni di contrasto che, con l’accoglienza giusta e benevola (raccomandata
dal Papa!), si evitano alla radice.
Questa è un’obiezione che raramente
oseranno farvi, e solo persone veramente ignare dello stato della situazione.
Infatti
Tutt’al contrario: nell’epoca della
globalizzazione e dei viaggi, poter trovare in ogni parte del mondo una Messa
in latino, più o meno uguale ad ogni altra in forma straordinaria, è un
magnifico collante dell’unità della Chiesa e consente a tutti di sentirsi a
casa. Se non ci credete, andate, per dire, in Polonia, entrate in una chiesa
dove si officia in polacco e (a meno che non capiate quella lingua) diteci la
vostra bella impressione!
Si ripete ad nauseam che la riforma ha arricchito il
Lezionario, che il popolo di Dio è ora ammesso ad una ricca tavola della
Parola, che la preghiera dei fedeli ha introdotto le aspirazioni della gente
nella preghiera, e simili amenità. Noi non infieriremo sulla “preghiera dei
fedeli”, la quale in astratto potrebbe essere una buona idea (se fosse davvero
qualcosa di concreto tipo: “preghiamo per
la signora Maria, che deve affrontare una difficile operazione”) ma che in
pratica è diventata una sagra dell’aria fritta (“affinché i popoli della Terra, affratellati dal comune anelito alla
giustizia, possano conseguire livelli di autosufficienza economica più consoni
alle loro legittime aspirazioni...”). E per quanto concerne il Lezionario,
è indubbio che con la nuova Messa vi sia maggiore ricchezza di brani
scritturistici. Resta da vedere, peraltro, se il fedele medio quando esce da
Messa si ricorda qualcosa delle molte letture ascoltate; nella vecchia Messa,
essendovi meno letture e sempre uguali da un anno all’altro, i brani ascoltati
erano assai inferiori ma proprio per questo più facilmente memorizzati.
Comunque, se qualcuno
ardisse denigrare in quel modo
Il Papa ha concesso il motu proprio solo
per far rientrare i lefebvriani, non per diffondere indiscriminatamente Messe
tridentine. Voi non siete lefebvriani, siete sempre andati alla Messa in
italiano, quindi non è per voi.
Se qualcuno vi solleverà
questa obiezione, sappiate che è sicuramente in mala fede.
Nessuno “del mestiere”, cioè
un prete e ancor meno un vescovo, ignora che l’allora card. Ratzinger scriveva da
decenni contro il modo in cui la riforma liturgica è stata attuata ed in favore
di un recupero della tradizione: andate alla nostra pagina sugli scritti di
Ratzinger, e fatevi un’idea. E’ per questo che, specie negli ambienti dei
liturgisti (abituati a dettar legge in materia di stravaganti innovazioni
liturgiche), la sua elezione a Papa è stata un’orribile doccia fredda.
Per il Papa, che non ha
certo cambiato idea nel frattempo, la crisi della Chiesa deriva proprio dal
disastro della liturgia, dalla costruzione artificiale di una Messa nuova
(seppure ricostruita con pezzi di quella precedente) che ha allontanato
centinaia di milioni di persone dalla Fede.
Egli ha quindi intrapreso
un’opera di ricostruzione, che è difficilissima dopo 40 anni di bombardamento
sull’edificio liturgico. E che dev’essere paziente, viste le resistenze ancora
diffusissime. Questa ricostruzione passa attraverso il recupero sempre più
marcato di elementi della Tradizione (la lingua latina, l’orientamento verso
Dio della preghiera, la comunione in ginocchio, ecc.). E più Messe antiche ci
sono, più quest’opera di bonifica si diffonderà: se in una città si inizia a
celebrare una Messa tradizionale ben curata, sacrale e devota, essa costituisce
un esempio rispetto alle altre che... non lo sono altrettanto. E i buoni esempi
spesso sono contagiosi, con tutto vantaggio anche dei fedeli delle Messe
ordinarie: come ha scritto il Papa nella lettera accompagnatoria del motu
proprio “Nella celebrazione della Messa
secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di
quanto non lo è spesso stato finora, quella sacralità che attrae molti
all’antico uso.”
L’aggettivo “pastorale” è
divenuto davvero odioso, perché è servito negli ultimi quarant’anni a coprire,
pur con la sua assoluta assenza di significato, l’imposizione dell’arbitrio di
vescovi e parroci con pruriti di innovazione. E’ chiaro che una risposta come
questa (occhio: non è un’invenzione, ma un argomento contrario tra i più
ricorrenti) rappresenta un sostanziale rifiuto di confrontarsi e spiegare: stat pro ratione voluntas e quella voluntas, siccome proveniente da qualche
mitrato, viene postulata per definizione come ispirata da oculate concezioni
‘pastorali’.
Poiché dunque questo non è
un argomento di logica, ma di mera autorità (anzi, è un vero sopruso), inutile
replicare con la logica; meglio ricorrere anche noi ad un argomento di autorità
e citare questa frase di qualcuno più in alto degli altri: “queste norme [del motu proprio] intendono anche liberare i Vescovi dal dover
sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni”
(Benedetto XVI, Lettera di
accompagnamento ai Vescovi del motu proprio Summorum Pontificum). Le Loro
Eccellenze sono quindi “liberate” (leggi: esautorate) dal compito di giudicare
in concreto che cosa è pastorale e che cosa non lo è, nella materia inerente la
forma straordinaria del rito romano.
Chiudiamo con questo
argomento critico perché è, senza dubbio alcuno, il più spassoso. Per vari
motivi:
1)
Chi
lo afferma spesso manco si accorge che questo implica che
2)
Che
cosa vuol dire ecclesiologia? Discorso sulla Chiesa, idea che
3)
Chi
è che deve giudicare della compatibilità di un rito, come quello gregoriano,
con