P. Riccardo Barile o.p., Summorum pontificum.
Considerazioni (estratto), in Settimana,
2 settembre 2007
1. La vecchiaia della riforma liturgica e la novità del
suo rifiuto.
La
simpatia crescente per il vecchio rito pone delle domande: c'è stato un difetto
di attuazione della riforma? i liturgisti sono
riusciti a comunicarne le motivazioni al popolo di Dio e a farla amare? In ogni
caso, la nostalgia dell'Egitto e la tentazione di ritornarvi accompagnarono
l'esodo (Es 13,17; 14,ll-12;
16,3; 17,3; Nm 11,5.18.20; 14,24): così anche nella
vita della chiesa, venendo meno la generazione che ha iniziato svolte
significative e persistendo il peso della difficoltà quotidiana, nasce la
tendenza a tornare indietro. Oggi, infine, la liturgia riformata per essere
attuale va riscoperta nel «suo versante inattuale», che non è «più
immediatamente traducibile e interpretabile in termini di riforma». Dopo ciò che precedette
[..]
4. Dispensa dalla SC?
La
costituzione liturgica Sacrosanctum concilium del Vaticano II a volte si mantiene a livello dei
grandi principi. Quando però scende al concreto, sempre parla di riforma o
revisione. Questo vocabolario tocca i riti in genere (SC 3-4), la riforma
generale della liturgia (SC 21ss.), la riforma dell'ordinario della messa (SC
3-58), la riforma dei sacramenti e dei sacramentali (SC 62-82), la riforma
dell'ufficio divino (SC 88-94), la riforma dell'anno liturgico (SC 107-111), la
revisione della legislazione sull'arte sacra (SC 128) ecc. Ora, se a qualcuno
viene concesso di celebrare la messa - e non solo la messa - com'era prima di
questa riforma, più che dalla riforma liturgica non si concede una dispensa
dalla Sacrosanctum concilium?
E stante il valore simbolico della liturgia, non si concede di fatto una dispensa ... dal concilio? Certo, nessun
dubbio che il papa abbia l'autorità di farlo e massimo rispetto per le sue
determinazioni, ma la domanda resta.
Tutti
conoscono l'obiezione cattolica ai DICO: le leggi che ci sono basterebbero per regolare rapporti patrimoniali ed economici, mentre la
teorizzazione di un nuovo rapporto tra i sessi fa saltare la famiglia e diventa
un modello pericoloso. Come sempre, il rigore della morale sul sesso si allenta
quando si passa alla liturgia ..., eppure anche qui sarebbe
stato possibile ragionare come sui DICO: le leggi che c'erano sarebbero bastate
per praticare l'antica liturgia, mentre l'aver teorizzato una forma
ordinaria e straordinaria (SP 1) diventa un modello alquanto pericoloso, nella
misura in cui è una "novità" rispetto a quanto sino ad ora si è fatto
e a quanto si è richiesto di obbedire.
[..]
«L'uso del Messale antico presuppone una certa
misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina» (L): chi lo
verifica? Il Motu proprio rischia di avallare una
sorta di conquista delle chiese: se un gruppo di 300 persone in una diocesi
si divide in gruppi di 10 o di 15 e ogni gruppo fa forza sul dovere di
«accogliere volentieri/ “libenter suscipiat”
le loro richieste da parte del parroco o del rettore (SP 5,1), queste persone
possono occupare le chiese più importanti anche la domenica (SP 5,2), creando
un fenomeno pastorale che il vescovo può difficilmente
regolare, a differenza dalla legislazione precedente quando la celebrazione con
il Messale del 1962 doveva avvenire «nelle chiese e oratori indicati dal
vescovo (non nelle chiese parrocchiali)».
Naturalmente
il "libenter suscipiat"
non significa che un prete o un vescovo possano essere obbligati a celebrare
questa liturgia. Purtroppo la precisazione, a prescindere dall'analisi dei
termini, si deve il giorno dopo a Manlio Sodi e al card. Dario Castrillon Hoyos, ma non si
trova, come sarebbe stato auspicabile, nel Motu
proprio.
[..]
Mentre
la celebrazione con il Messale del 1962 doveva avvenire «in lingua latina »
evitando «ogni mescolanza tra i riti e i testi dei due Messali», ora «nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti
nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La commissione Ecclesia Dei in contatto
con i diversi enti dedicati all'usus antiquior studierà le possibilità pratiche» (L). In altri termini, si rischia di avviare una seconda
riforma liturgica parallela all'attuale e a partire dall'uso del Messale del
1962. L’effetto domino si completa con la possibilità di erigere una
«parrocchia personale» (SP 10) e a questo punto si accetterà non solo una
differenza rituale, ma anche un ambiente legittimato a rilanciare un nuovo -
cioè vecchio - modo di pensare la chiesa, il suo rapporto con l'ecumenismo, con
la società, con la politica, insomma con il mondo. Questo perché "la
liturgia fa la chiesa e la chiesa fa la liturgia" vale anche per la
liturgia del 1962.
[..]
12. La questione personale
di papa Ratzinger.
A
fronte di deviazioni liturgiche postconciliari, Ratzinger confida in prima
persona: «Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch'io
quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto
profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della liturgia,
persone che erano totalmente radicate nella fede della chiesa»
(L). Anch'egli fu ferito? la ferita lo condiziona
ancora? Sono innegabili gli scritti e le simpatie del teologo Ratzinger per la
messa tridentina, come le foto di lui celebrante tra neotradizionalisti. Tutto
questo genera difficoltà nel rapportarsi al papa da parte di alcuni uomini di
chiesa: sembra che si faccia qualcosa per evitare la divisione, ma solo da una
parte (destra); il papa è veramente convinto quando afferma la bontà della
riforma liturgica oppure lo dice per dovere, mentre il suo cuore è nel
concedere l'indulto? noi (cristiani normali) ci
governa, quelli (dell'indulto) li ama ... Certo un cristiano e un pastore
deve superare queste difficoltà, radicare la propria vita nelle Scritture,
nella tradizione, nella disciplina della chiesa come si esprime nei documenti.
Ma è innegabile che tali difficoltà sussistano.
13. Tre papi e due
relazioni da definire.
Abbiamo
già spiegato come, rispetto a Paolo VI, vi sia un
mutamento sia pratico che teorico. Più complesso il rapporto dell'attuale
pontefice con il predecessore. Certo il Motu proprio
è responsabilità di Ratzinger e forse Wojtyla non sarebbe giunto a tanto,
preferendo la linea di correggere gli abusi. Ma, ciò precisato, va aggiunto che
un intervento come il Motu proprio non può
avvenire all'improvviso: bisogna prepararlo a lungo con piccoli interventi che
creino una mentalità favorevole a opera di persone
autorevoli: e chi ha dato a suo tempo autorità a queste persone se non Giovanni
Paolo II? I1 70% o 1'80% del Motu proprio risale a
lui, non alla sua immagine mediatica, ma alle scelte di governo.
14. I rimasugli.
C'è
qualcosa di vago ma reale che circonda il Motu
proprio. Anzitutto l'umiliazione verso i liturgisti con battute
tipo «La ricreazione è finita ... Finalmente qualcuno vi ha messo a
posto ecc.»: Benedetto XVI non vuole queste battute, ma esse circolano. Poi
I'umiliazione di sorbirsi gli interventi degli "atei devoti" che
parlano del latino e della cultura cristiana. Poi forse per le nomine
episcopali e di altri posti di responsabilità si resterà attenti che i candidati
siano favorevoli alla mentalità del Motu proprio.
E i carrieristi cercheranno di allinearsi ripetendo con Enrico IV nel 1593:
«Parigi vale ben una messa (del 1962!)». Questa non è una
"perversità": è il normale dell'istituzione e dei residui di concupiscenza
che affliggono tutti, per cui, se il Motu proprio
avesse abolito l'elevazione e concesso la concelebrazione solo con il vescovo,
l'allineamento sarebbe stato su questi contenuti.
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