Nell'edizione in lingua tedesca,
largamente diffusa, dei testi del Concilio Vaticano II a cura di Karl Rahner e Herbert Vorgrimler, il
breve commento al capitolo della costituzione liturgica sulla musica è
introdotto dalla stupefacente osservazione che l'arte pura, com'essa si trova
nella musica sacra, "è difficilmente
conciliabile, partendo dalla sua natura esoterica (nel senso corretto del
termine), con la natura della liturgia e con il supremo principio della riforma
liturgica".
Questa tesi è stupefacente, in quanto il
testo che essa - commenta
Certamente Rahner
e Vorgrimler non intendono escludere dal culto divino
ogni tipo di musica; ciò che pare loro incompatibile
con la sua natura è soltanto l'arte vera e propria, cioè la musica tradizionale
della Chiesa occidentale. Essi ritengono pertanto che la raccomandazione del
Concilio, che "si deve conservare e
curare con la massima diligenza il tesoro della musica sacra", non
dica che "ciò debba avvenire
nell'ambito della liturgia".
Per conseguenza, anche con riferimento
alla raccomandazione conciliare dei cori vocali, si mette particolarmente in
rilievo che essa si riferirebbe "soprattutto" alle chiese cattedrali,
e che da tutto il contesto si ricava l'impressione che il Concilio tenda
veramente a volerla vedere lì soltanto, e anche ciò con la limitazione che essa
non ostacoli la attiva partecipazione del popolo s.
Secondo Rahner e Vorgrimler
fa perciò normalmente parte della liturgia non la "musica sacra vera e propria", ma la "cosiddetta musica d'uso".
[..]
Ora, se si confronta lo stesso testo
conciliare con il commento di Rahner e di Vorgrimler, si riscontra tra i due un rapporto che, di là
da questo caso particolare, può essere considerato sintomatico per la
differenza tra il proprio dei testi conciliari e la maniera di appropriarsene
nella Chiesa postconciliare. Nel dibattito conciliare si provoca la
sensibilizzazione per un problema finora mai avvertito con tale acutezza: la
tensione fra l'esigenza dell'arte e la semplicità della liturgia si fa
cosciente; nella contrapposizione tra specialisti e curatori d'anime emerge una
prevalenza della sollecitudine pastorale, che inizia a spostare unilateralmente
la visuale d'insieme. Il testo stesso conserva, nello sforzo per l'univocità,
un arduo equilibrio, ma viene poi magari letto partendo da una nuova
sensibilità per un solo lato del problema, e così l'equilibrio diviene una
ricetta molto manipolabile: musica d'uso per la liturgia; la "vera e propria musica sacra" la si
può curare in altro modo: essa non si adatta più alla liturgia.
Solo che occorre allora rendersi
anzitutto conto che la "vera e
propria musica sacra" non è affatto musica sacra, e che una "vera e propria musica sacra" non
esiste veramente più. Negli anni trascorsi da allora è innegabile che si è fatto sempre più tristemente percepibile il pauroso
impoverimento che si manifesta dove si mostra la porta al bello ateleologico nella chiesa e in suo luogo ci si assoggetta
esclusivamente all'"uso". Ma i brividi che incute la liturgia
postconciliare, fattasi opaca, o semplicemente la noia che essa provoca con il
suo gusto per il banale e con la sua mediocrità artistica non chiariscono la
questione; questa evoluzione ha comunque creato una situazione nella quale
si è sempre e di bel nuovo nella necessità di porsi dei problemi.
[..]
Una chiesa che faccia soltanto della
"musica d'uso" cade nell'inetto e diviene essa stessa inetta.