Prefazione
al libro di U.M. Lang, Conversi ad Dominum.
Zu Geschichte und Theologie der
christlichen Gebetsrichtung,
Johannes Verlag, 2003 (trad. it. Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica,
Cantagalli, 2006)
Per
una recensione al libro di Lang, v. questa pagina di Alleanza Cattolica
Al cattolico praticante
normale due appaiono
i risultati più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano II: la
scomparsa della lingua latina e l'altare orientato verso il popolo. Chi legge i
testi conciliari potrà constatare con stupore che né l'una né l'altra cosa si
trovano in essi in questa forma.
Certo, alla lingua volgare si sarebbe
dovuto dare spazio, secondo le intenzioni del Concilio (cfr. Sacrosanctum Concilium
36,2) - soprattutto nell'ambito della liturgia della Parola - ma, nel testo
conciliare, la norma generale immediatamente precedente recita: "L'uso
della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei riti
latini" (Sacrosanctum Concilium
36,1).
Dell'orientamento dell'altare verso il
popolo non si fa parola nel testo conciliare. Se ne fa parola in istruzioni postconciliari. La più
importante di esse è
Un chiarimento importante, questo, perché
mette in luce il carattere relativo delle forme simboliche esterne, opponendosi
così ai fanatismi che purtroppo negli ultimi quarant'anni non sono stati
infrequenti nel dibattito attorno alla liturgia. Ma allo stesso tempo illumina
anche la direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle
forme esterne e che è la stessa per sacerdote e popolo (verso il Signore: verso
il Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo). La risposta della
Congregazione dovrebbe perciò creare anche un clima più disteso per la
discussione; un clima nel quale si possano cercare i modi migliori per la
pratica attuazione del mistero della salvezza, senza reciproche condanne,
nell'ascolto attento degli altri, ma soprattutto nell'ascolto delle indicazioni
ultime della stessa liturgia. Bollare frettolosamente certe posizioni come
'preconciliari', 'reazionarie', 'conservatrici', oppure 'progressiste' o
'estranee alla fede', non dovrebbe più essere ammesso nel confronto, che
dovrebbe piuttosto lasciare spazio ad un nuovo sincero comune impegno di
compiere la volontà di Cristo nel miglior modo possibile.
Questo piccolo libro di Uwe Michael Lang, oratoriano
residente in Inghilterra, analizza la questione dell'orientamento della
preghiera liturgica dal punto di vista storico, teologico e pastorale. Ciò
facendo, riaccende in un momento opportuno - mi sembra - un dibattito che,
nonostante le apparenze, anche dopo il Concilio non è mai veramente cessato.
Il liturgista di Innsbruck Josef Andreas Jungmann, che fu uno degli
architetti della Costituzione sulla Sacra
Liturgia del Vaticano II, si era opposto fermamente fin dall'inizio al
polemico luogo comune secondo il quale il sacerdote, fino ad allora, avrebbe
celebrato 'voltando le spalle al popolo'. Jungmann aveva invece sottolineato che non si trattava di
un voltare le spalle al popolo, ma di assumere il medesimo orientamento del
popolo. La liturgia della Parola ha carattere di proclamazione e di dialogo: è
rivolgere la parola e rispondere, e deve essere, di conseguenza, il reciproco
rivolgersi di chi proclama verso chi ascolta e viceversa. La preghiera
eucaristica, invece, è la preghiera nella quale il sacerdote funge da guida, ma
è orientato, assieme al popolo e come il popolo, verso il Signore. Per questo -
secondo Jungmann - la medesima direzione di sacerdote
e popolo appartiene all'essenza dell'azione liturgica. Più tardi Louis Bouyer - anch'egli uno dei principali liturgisti del
Concilio - e Klaus Gamber, ognuno a suo modo,
ripresero la questione. Nonostante la loro grande autorità, ebbero fin
dall'inizio qualche problema nel farsi ascoltare, così forte era la tendenza a
mettere in risalto l'elemento comunitario della celebrazione liturgica e a
considerare perciò sacerdote e popolo reciprocamente rivolti l'uno verso l'altro.
Soltanto recentemente il clima si è fatto
più disteso e così, su chi pone domande come quelle di Jungmann,
di Bouyer e di Gamber, non
scatta più il sospetto che nutra sentimenti 'anticonciliari'. I progressi della
ricerca storica hanno reso il dibattito più oggettivo, e i fedeli sempre più
intuiscono la discutibilità di una soluzione in cui si avverte a malapena
l'apertura della liturgia verso ciò che l'attende e verso ciò che la trascende.
In questa situazione, il libro di Uwe Michael Lang, così piacevolmente oggettivo e niente affatto
polemico, può rivelarsi un aiuto prezioso. Senza la pretesa di presentare nuove
scoperte, offre i risultati delle ricerche degli ultimi decenni con grande
cura, fornendo le informazioni necessarie per poter giungere a un giudizio
obiettivo. Molto apprezzabile è il fatto che viene evidenziato, a tale
riguardo, non solo il contributo, poco conosciuto in Germania, della Chiesa
d'Inghilterra, ma anche il relativo dibattito, interno al Movimento di Oxford
nell'Ottocento, nel cui contesto maturò la conversione di John Henry Newman. È
su questa base che vengono sviluppate poi le risposte teologiche.
Spero che questo libro di un giovane
studioso possa rivelarsi un aiuto nello sforzo - necessario per ogni
generazione - di comprendere correttamente e di celebrare degnamente la
liturgia. Il mio augurio è che possa trovare tanti attenti lettori.