Estratto
dalla Lettera al prof. dott. W. Waldstein di data 14 dicembre
A proposito, si deve ricordare che la maniera
di introdurre il nuovo Messale si allontana dalla prassi giuridica del passato,
così come San Pio V l'ha per esempio osservata per la sua riforma del Messale,
che prevedeva esplicitamente che una "consuetudo"
osservata da più di 200 anni "nequaquam auferimus"; quindi, per dare alcuni esempi, a Colonia
e a Treviri, fino al 18.mo secolo, e a Milano, fino
al Vaticano II, rimase in uso un altro tipo, come pure nell'Ordine Domenicano;
e sarebbe facile di trovare altri esempi. Con ciò, il Messale "di Pio V"
non era un Messale nuovo, ma una forma del Messale romano in uso nell'urbe,
pochissimo corretto secondo le fonti, vale a dire, null'altro, dunque, che un
cerchio di crescita del vecchio tronco, sviluppatosi
in linea diretta, secondo un processo che data dai tempi di Yppolito
(sic!). Perciò trovo
che il parlare di "Messa Tridentina" e del "Messale di Pio
V" è storicamente falso e teologicamente fatale. Il problema del nuovo
Messale sta, al contrario, nel suo abbandono di un processo storico sempre
continuato, prima e dopo S. Pio V, e nella creazione di un volume del tutto
nuovo, sebbene compilato con materiale vecchio, la cui pubblicazione
s'accompagnò a un tipo di divieto di ciò ch'era stato prima, divieto per
altro sconosciuto nella storia giuridica e liturgica, lo posso dire con
sicurezza, basata sulla mia conoscenza dei dibattiti conciliari e sulla
reiterata lettura dei discorsi fatti dai padri conciliari, che ciò non
corrispose alle intenzioni del Concilio Vaticano II.