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Estratto dalla Lettera al prof. dott. W. Waldstein di data 14 dicembre 1976, in Chiesa Viva, 1984, n. 140, p. 6

 

A proposito, si deve ricordare che la maniera di introdurre il nuovo Messale si allontana dalla prassi giuridica del passato, così come San Pio V l'ha per esempio osservata per la sua riforma del Messale, che prevedeva esplicitamente che una "consuetudo" osservata da più di 200 anni "nequaquam auferimus"; quindi, per dare alcuni esempi, a Colonia e a Treviri, fino al 18.mo secolo, e a Milano, fino al Vaticano II, rimase in uso un altro tipo, come pure nell'Ordine Domenicano; e sarebbe facile di trovare altri esempi. Con ciò, il Messale "di Pio V" non era un Messale nuovo, ma una forma del Messale romano in uso nell'urbe, pochissimo corretto secondo le fonti, vale a dire, null'altro, dunque, che un cerchio di crescita del vecchio tronco, sviluppatosi in linea diretta, secondo un processo che data dai tempi di Yppolito (sic!). Perciò trovo che il parlare di "Messa Tridentina" e del "Messale di Pio V" è storicamente falso e teologicamente fatale. Il problema del nuovo Messale sta, al contrario, nel suo abbandono di un processo storico sempre continuato, prima e dopo S. Pio V, e nella creazione di un volume del tutto nuovo, sebbene compilato con materiale vecchio, la cui pubblicazione s'accompagnò a un tipo di divieto di ciò ch'era stato prima, divieto per altro sconosciuto nella storia giuridica e liturgica, lo posso dire con sicurezza, basata sulla mia conoscenza dei dibattiti conciliari e sulla reiterata lettura dei discorsi fatti dai padri conciliari, che ciò non corrispose alle intenzioni del Concilio Vaticano II.