Da Dio e il Mondo.
Essere cristiani nel nuovo millennio, Ed. San
Paolo, 2001, p. 379
Per una retta presa
di coscienza in materia liturgica è importante che venga meno l'atteggiamento di
sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970.
Chi oggi sostiene la continuazione di
questa liturgia o partecipa direttamente a celebrazioni di questa natura, viene
messo all'indice; ogni tolleranza viene meno a questo riguardo. Nella storia
non è mai accaduto niente di questo genere; così è l'intero passato della
Chiesa a essere disprezzato. Come si può confidare nel suo presente se le cose
stanno così? Non capisco nemmeno, a essere franco, perché tanta soggezione,
da parte di molti confratelli vescovi, nei confronti di questa intolleranza,
che pare essere un tributo obbligato allo spirito dei tempi, e che pare
contrastare, senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria
riconciliazione all'interno della Chiesa. Oggi il latino nella Messa ci pare
quasi un peccato. Ma così ci si preclude anche la possibilità di comunicare tra
parlanti di lingue diverse, che è così preziosa in territori misti. Ad
Avignone, ad esempio, il parroco del Duomo mi ha raccontato che una domenica si
sono improvvisamente presentati tre diversi gruppi, ognuno dei quali parlava
una lingua diversa, e tutti e tre desiderosi di celebrare
Dovremmo quindi tenere presente anche questo.
Se nemmeno nelle grandi liturgie romane
si può cantare il "Kyrie" o il "Sanctus", se nessuno sa più
nemmeno cosa significhi il "Gloria", allora si è verificato un
depauperamento culturale e il venire meno di elementi comuni. Da questo punto
di vista direi che il servizio della parola dovrebbe essere tenuto in ogni caso
nella lingua madre, ma ci dovrebbe anche essere una parte recitata in latino
che garantisca la possibilità di ritrovarci in qualcosa che ci unisce.